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Professione solenne di Fr. Francesco Di Pede a Greccio

Ha avuto piacere avvenisse a Greccio il suo “sì” definitivo alla vita francescana: lì dove tutto profuma di Natale, per fra Francesco Di Pede, si è celebrata quella che definisce la sua “rinascita”. Una storia in cui c’entra papa Francesco, quella di tale sua “rinascita”. E proprio otto giorni prima che il primo Pontefice della storia che ha scelto di chiamarsi col nome del Poverello d’Assisi torni a Greccio, la chiesa del santuario del Presepe ha accolto la solenne liturgia con cui il quarantenne ciociaro ha pronunciato i voti perpetui di povertà, castità e obbedienza nell’ordine dei Frati Minori.



Francesco come il santo di cui ha scelto di seguire le orme si chiama pure lui. E nell’elezione del primo Papa che ne porta il nome in qualche modo ha avuto un segno che lo ha convinto a riprendere la strada francescana che aveva interrotto. Una bella storia da raccontare, quella della “doppia” vocazione di fra Di Pede, che dopo aver vissuto la vita minoritica ne era uscito per ritornarci proprio “grazie” alla salita di Bergoglio alla cattedra di Pietro.

Ma andiamo con ordine. Tutto ebbe inizio in questa terra sabina cui è rimasto legato, al santuario di Santa Maria delle Grazie, in quel di Ponticelli, quasi una “propaggine” della vicina Valle Santa reatina. Era qui, nel 2000, che Francesco, nativo di Ferentino, aveva avvertito la chiamata a seguire il Signore nella via tracciata dal santo di Assisi, colpito dal senso di fraternità dei francescani «che mi ha calamitato», e in particolare dall’indimenticata figura di padre Genesio, un santo sacerdote francescano che in molti ricordano, a lungo missionario in Cina, «una quercia» del francescanesimo. Quindi l’avvio dell’esperienza vocazionale, il postulato, il noviziato svolto nel 2003 a Fonte Colombo, quando i novizi della provincia laziale (e di quella abruzzese già collegata, per divenire ora un’unica circoscrizione minoritica) si formavano assieme a quelli della Sicilia e della Puglia. «Un anno bellissimo che mi è rimasto nel cuore», racconta il religioso. Concluso, per lui come per tutti gli altri arrivati al traguardo, con la professione semplice.



È seguito il quadriennio di studentato a Frascati, ma giunto il momento di passare dai voti temporanei a quelli perpetui qualcosa si è spento. La vocazione sembrava interrotta, e dimesso il saio francescano Francesco decideva di tornare alla vita laicale. Mettendo comunque a frutto la formazione teologica fin lì avuta con il passare a insegnare religione nei licei romani.

«Una scelta un po’ di ripiego», che comunque ha significato un bagaglio di esperienze non certo inutili per uno che continuava a portarsi nel cuore un’inquietudine: il contatto con i giovani, la possibilità di aprire le menti ai valori più importanti, di guidare alla ricerca del senso pieno dell’esistenza. Fino a quando il Signore è tornato a bussare alle sue porte: «Come dice la Scrittura, “mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre”…» ed il momento della riaccensione della fiamma è giunto nel 2013, al momento del Conclave seguito alle dimissioni di Benedetto XVI.

«Mi trovavo in piazza San Pietro, quando vidi la fila di cardinali che entrava nella Cappella Sistina… e quel rosso mi richiamava in qualche modo il fuoco dello Spirito. Guardando l’immagine di Cristo Redentore, mi sentii di fare una proposta, quasi una provocazione lanciata a Dio: «Se veramente mi darai un segno di un Papa che sia “francescano”, riprenderò la mia vita con te». Detto fatto: ecco uscire dal Conclave il primo Papa gesuita e il primo che sceglie di chiamarsi Francesco. E lui era lì, sotto la loggia, quando si affacciò. Scoppiando, appena sentito il nome scelto dal nuovo Pontefice, in un pianto liberatorio…



«Ripresi così il cammino di discernimento», fino alla decisione di rientrare nella famiglia francescana e giungere al passo definitivo della professione perpetua. Mettendo a frutto anche una sua particolare passione: quella per il cinema. «Lo usavo spesso a scuola: il cinema credo abbia un valore forte e potentemente introspettivo». Un po’ come Mosè dinanzi al roveto ardente «che è solo un’immagine, una visione, ma poi c’è una voce, una chiamata… così in qualche modo l’immagine del cinema, che ci affascina, ma poi dietro le immagini c’è una storia che ci risuona dentro». Di qui l’approfondimento della cinematografia, con la licenza alla facoltà di Scienze delle comunicazioni dell’Università Salesiana sul registra danese Lars von Trier e alcuni suoi film che hanno delle donne per protagoniste, «donne che si sacrificano, in cui la narrazione ricorda l’immagine di Cristo». Con la convinzione, dice fra Francesco, che il cinema aiuti come mezzo di evangelizzazione.



E non tanto il cinema religioso, quanto quello laico. La sua passione, che lo ha fatto specializzare in una scuola di cinema dopo la licenza, lo ha portato ad approfondire la critica cinematografica (che mette a frutto anche collaborando al sito Cinegusti). Con attenzione al cinema “profano” che, nella logica dell’incarnazione, aiuta a comprendere come «è nella vita concreta raccontata da tanti film non sacri, più che in un film su Padre Pio, che emergono dinamiche cristologiche: sono certi film a darti quel pugno nello stomaco che ti fa capire che dietro la vita c’è Dio».

Al convento romano di San Bonaventura al Palatino (punto di riferimento della pastorale giovanile e vocazionale dei Minori), dove è di comunità, fra Francesco ha dato vita agli incontri “Gustate e vedete”: cineforum per giovani che, a partire dalla visione di film e relativo dibattito, diventano occasione di condivisione e di catechesi. E nella cinematografia “diretta” si è anche in qualche modo cimentato, realizzando un documentario autoprodotto, dedicato a un’altra particolare esperienza di “comunicazione francescana”: quella di Sidival Fila, il frate artista brasiliano, al momento padre guardiano del suo convento del Palatino. Il primo religioso ad aver presentato un’opera alla Biennale di Venezia: il Golgota. Il documentario che ne racconta l’arrivo alla Biennale lo ha realizzato proprio fra Francesco.


La passione per l’arte e la recitazione lo ha portato anche a vestire i panni di frate Leone nel musical Francesco e i suoi frati di fra Renzo Cocchi, più volte rappresentato anche a Rieti (l’ultima a San Domenico in occasione del festival francescano di ottobre). Leone era il frate più vicino a san Francesco. E l’immaginetta a ricordo della sua professione, che riproduce un dipinto di Casentini che si trova al santuario di Poggio Bustone, raffigura proprio il santo con frate Leone.



Pensando a lui, che assieme a Rufino e Angelo si ritrovarono, dice la Leggenda dei tre compagni, a Greccio per rievocari i passi del Serafico Padre, si è disteso, sabato pomeriggio, nella chiesa dell’Immacolata del santuario grecciano, nell’invocare la benedizione del Signore sulla sua scelta di definitiva consacrazione religiosa. Benedizione che gli è stata impartita dal padre provinciale, Luigi Recchia, durante la Messa solenne concelebrata da tanti confratelli francescani e anche diversi sacerdoti del clero di Frosinone-Veroli-Ferentino, la sua diocesi di origine. Domenica Francesco spera di essere di nuovo lì, ad accogliere il Successore di Pietro nella sua seconda visita al santuario che parla di quella profonda umanità di Gesù così cara all’alter Christus che fu il santo di Assisi.



(Fonte: Frontiera)

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