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Fr. Federico ci racconta la missione in Sud Sudan visitata dal Papa

All'indomani del 40mo viaggio apostolico che ha portato il Santo Padre tra le difficili realtà di due Paesi africani fortemente compromessi da conflitti e situazioni emergenziali, ascoltiamo la testimonianza di fr. Federico Gandolfi OFM, che da molti anni è partito dal Lazio per raggiungere Juba (Sud Sudan) a servizio del Vangelo come missionario.



"Per la prima volta in otto anni ho visto la gente sorridere per strada", fr. Federico non ce la fa a trattenere la ricchezza del ricordo più bello di questi giorni appena trascorsi, in cui ha accolto Papa Francesco pellegrino in terra d'Africa. Le parole del missionario arrivano all'indomani della partenza del Pontefice dalla visita alla Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan dove fr. Federico è in missione dal 2015. "Ci siamo preparati con tanta gioia a questo incontro, ma ancora di più con tanta speranza!", l'accoglienza di Francesco è stata portata a compimento dopo vari tentativi di organizzazione. Dice ancora fr. Federico: "A luglio siamo rimasti tutti scioccati dalla cancellazione del viaggio del Papa nelle nostre terre, ma stavolta ce l'ha fatta! Spero con tutto il cuore che questo viaggio porti attenzione e impegno a livello internazionale per questa zona di missione. Occorre che cambi qualcosa, è necessario che chi guida il Paese abbia cura soprattutto degli ultimi, dei miseri e che faccia azioni significative di pace".



Uno dei primi eventi del 40mo viaggio apostolico è stato l'incontro con le autorità a Kinshasa. In quell’occasione si è elevato il vibrante grido di Francesco: "Giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare”. L’Africa, ha detto il Pontefice, è "come un diamante. Le persone sono il bene più prezioso". Il Papa lo ha ricordato rivolgendo infine questo appello agli uomini e alle donne della Repubblica Democratica del Congo: “Rialzati, riprendi tra le mani, come un diamante purissimo, quello che sei, la tua dignità, la tua vocazione a custodire nell’armonia e nella pace la casa che abiti”.

Subito dopo la visita in Sud Sudan, il Pontefice ha inviato un telegramma al presidente della Repubblica del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, nel quale esprime la propria gratitudine "per la calorosa accoglienza e ospitalità". Nel telegramma inviato al presidente italiano, Sergio Mattarella, Francesco sottolinea che in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo ha avuto la possibilità di incontrare “popoli ancorati a salde tradizioni spirituali e ansiosi di trovare finalmente pace e giustizia”. Una pace e una giustizia che è l'orizzonte quotidiano verso cui cammina la Missione francescana di fr. Federico, spesso penalizzata - lo sentiamo dalle sue stesse parole - da un governo assente e da una cultura difficile da rimettere in piedi, ma la speranza di certo non lo abbandona...


Fr. Federico, quando è iniziata la Missione francescana in Sud Sudan?

La Missione nasce verso la fine del 2013. Io arrivo nel 2015, a gennaio. La prima comunità è stata composta da cinque Frati. All'inizio è andata bene ma l'incubo della guerra non si è fatto attendere e così, nel 2016, è iniziata la guerra civile. Di lì a poco molti Frati sono andati e venuti da Juba, e non sono mancati periodi in cui sono rimasto solo...

E oggi?

Siamo in tre e grazie a Dio non mancano le vocazioni, ci sono anche Professi temporanei.

Parlaci ancora della Missione.

La Missione ha in cura soprattutto la comunità della Ss. Trinità di cui sono parroco. Il territorio parrocchiale si estende su una lunghezza di circa 85 Km su cui ci sono varie cappelle per assistere tutti gli abitanti. I villaggi che serviamo sono otto, tutti isolati, disagiati e difficili da raggiungere. Le indicazioni per raggiungerli sono i vari alberi lungo la via...

Di cosa vive la gente?

Prevalentemente di agricoltura e pastorizia.

E come vive? Com'è la vita?

E' abituale vedere bambini che lavorano con gli adulti, non c'è scuola. I bambini iniziano presto a lavorare, molto presto, già da quando hanno 3 anni! Quindi a 13 anni già si sposano. Le famiglie sono poligamiche, molto allargate e i bambini non tutti sopravvivono. La vita media è sui 40 anni. Come dicevo, non c'è scuola, non c'è elettricità, neanche le candele talvolta... si segue il ciclo del sole e della natura.

Dalla guerra del 2016 molte cose sono cambiate, hanno distrutto sette cappelle su otto, non c'è più niente... dall'anno scorso abbiamo cercato di riprendere una vita più normale. Il primo villaggio che devo raggiungere è a 35 Km e dobbiamo passare attraverso sette checkpoint militari, anche se ormai ci conoscono. Spesso torniamo a Juba con persone malate da assistere o sfollati.




Sappiamo che il Papa ha voluto incontrare personalmente gli sfollati interni nella "Freedom Hall", che ci dici a riguardo?

Gli sfollati interni sono quelli che hanno dovuto abbandonare la propria terra a causa del sopraggiungere della guerra. Da qualche anno abbiamo deciso di assistere un campo sfollati proprio nella nostra parrocchia. Stiamo parlando di 35.000 persone! Con loro facciamo una pastorale parrocchiale ordinaria e altre attività di animazione e formazione per i giovani. Quando arrivano gli aiuti riusciamo a sfamare tutti e tentiamo di aiutare i più penalizzati fisicamente come assistenza medica, portando molti di loro in ospedale, laddove, ovviamente, l'ospedale è funzionante.

Ci sono molti decessi?

Facciamo una marea di funerali, una marea! Purtroppo anche funerali di bambini. D'altronde nel campo vivono in maniera disumana, Secondo gli standard dell'ONU siamo sotto il livello della povertà quindi siamo in piena miseria. Inoltre l'ONU nel 2022 ha abbandonato il campo, il Governo è assente e noi Frati cerchiamo di creare momenti di incontro tra i ragazzi della parrocchia e le tribù che ormai si sono fatte avanti...

Cosa ti preoccupa di queste tribù?

Uno dei problemi più preoccupanti del Sud Sudan è il tribalismo, molto difficile da scardinare. Ci sarebbero vie di soluzione ma è un cammino lungo e difficile. Occorre cultura e educazione per superare questa forma di giustizia dal basso che sfrutta soprattutto i più piccoli a causa dell'assenza della scuola. La parrocchia cerca di entrare in supporto a tale mancanza stimolando nuove forme di fraternità, dialogo e accoglienza del diverso, ad esempio dal 2017 è nato un bel segno di speranza: il gruppo Peace & Good, formato da alcuni giovani locali volenterosi con i quali abbiamo girato per le strade con l'intento di assistere i più deboli.

Che risultati avete avuto?

Sono piuttosto soddisfatto. Facciamo in giro le prime medicazioni e, col tempo, abbiamo messo su anche un orfanotrofio. Mi piace molto l'idea che l'iniziativa abbia avuto una certa eco e si stia ripartendo con ciò che abbiamo a disposizione, col volontariato locale: poveri che aiutano altri poveri.

Chiudiamo con un bel ricordo della visita di Papa Francesco di questi giorni, quale conserverai?

Un momento bello è stato l’incontro con gli sfollati appunto nella Freedom Hall, Francesco li ha voluti incontrare da soli. Erano complessimvamente 900 dal nostro campo, ma erano presenti anche altri 300 da altre zone. Mi vengono le lacrime agli occhi a ripensare al dolore misto a gioia che questi fratelli hanno espresso in questi giorni, per tutti noi è stato un dono grande vedere il Papa così da vicino nella nostra terra e ascoltare le sue parole così cariche di speranza...

Lo hai incontrato? Cosa ti ha detto?

Quando l’ho salutato personalmente il Papa mi ha detto: “Grazie per la dolcezza che nutri per questa gente…”




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