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La Vera Croce: l’invenzione di Sidival Fila



La Grande Croce commuove, si muove dentro, lavora all’interno di noi.

Composta di travi di legno rivestite di fili splendenti, l’immagine sconvolge, interroga, chiama.


Cinque sono le soste in questo viaggio:

Il legno

Il filo

La veste

Il colore

Il vuoto



Il legno


Il legno non è nuovo. È tratto da un albero di castagno vecchio di quattro secoli.

Il legno non è pieno. Composto di travi parallele, lascia uno spazio aperto.


Ma perché il castagno? Perché lo spazio?


Il castagno si usava anticamente per ancorare la vite a terra, risparmiandola alla furia del vento.

È anche detto albero del pane, perché il suo frutto nutriente sostituiva il più complesso grano.


Pane e vite: simboli eucaristici.


Un taglio a croce è uso fare sulla castagna, quando viene sbucciata. L’abitudine deriva dalle storie di Sant’Ubaldo. È lui che avrebbe pregato Dio per convincere i montanari, reduci dalla carestia, a prendere l’insolito guscio spinoso che, una volta benedetto e caduto a terra, si sarebbe aperto a croce.


Dal canto suo, San Francesco, malato, lasciato il sacro Speco, volle piantare a terra il bastone a cui si appoggiava camminando. Questo germogliò e crebbe in alto, divenendo questo Castagno secolare.



Il filo


Un filo continuo, ininterrotto, rosso, avvolge le “membra” di questo legno. È la vite che si abbarbica

al castagno forte.

Chi lo ha tessuto? A cosa rimanda?


Nell’iconografia più antica dell’Annunciazione, la Madonna è ritratta mentre è intenta a filare, come dimostra l’antica icona di Ustiug, conservata alla Galleria Tret'jakov. Il sommo sacerdote aveva ordinato a “cinque fanciulle senza macchia della tribù di Davide” di tessere il velo “del tempio” (Protov. Giac. X-XII,1). Tirato a sorte, non l’oro, né l’amianto, né il bisso, non la seta, né il giacinto, ma lo scarlatto e la vera porpora toccarono a Maria. Intenta a tessere, Ella è proclamata dall’angelo “la traboccante di grazia” (Lc 1,28). In mano tiene il gomitolo scarlatto, dello stesso colore del velo del tempio, alias la carne di Gesù, effigiata nel suo grembo trasparente.


Dalla Caduta alla Redenzione, Sidival Fila ripercorre questo cammino, scegliendo come materiale, non a caso, proprio il filo.



La veste


Il filo rimanda alla veste. La prima “veste” della Storia, è ritratta nei mosaici del Cupolino di San Marco a Venezia: è Dio stesso in persona a vestire Eva. Primo atto di misericordia nei confronti dell’Umanità caduta, è questa seconda “pelle”, donata a mo’ di riparazione (Gen 3,21). Di qui l’abito dei consacrati: lo si può chiedere, ma non se lo si può dare. Al contrario di ciò che è avvenuto col frutto, non era dato, ma se lo si è preso. Riparazione e Salvezza sono inestricabili nel tessuto del primo abito dell’uomo.

Nell’economia della Salvezza, Maria tesse col suo fiat il frutto, dono di redenzione; nell’ottica della Riparazione, Eva tesse il suo lavoro, frutto del peccato. L’azione è la stessa, ma il cuore è diverso. Identiche per origine, Eva e Maria divergono per destino, l’una peccatrice, l’altra immacolata. L’una accondiscende ai piani del nemico, l’altra aderisce ai piani di Dio. Rispetto ad Adamo, Cristo ripercorre in senso diametralmente opposto questa storia: anche lui si ricopre di “pelle”, si incarna, poi stende nudo le braccia, come un Anti-Adamo, non è ricoperto, ma spogliato della sua tunica indivisa. Così, ri-vestito solo della sua carne, intessuta nel grembo dalla Madre, il fructus ventris sui è pronto a farsi fructus animi, il pane supersubstanzialis per l’uomo, “chiamato” a sua volta alla missione: “Io ho scelto voi perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16). Questa investitura rimanda al sacrifico, questo sacrificio monda il peccato: “Tutto ciò che verrà a contatto con la sua carne sarà santo” (Lv 6,20).



Il colore


La veste è rossa, ma non del tutto.

A guardar bene, questo rosso è cangiante in almeno tre sfumature.

A ben guardare, c’è un sottile inserto blu su entrambi i bracci orizzontali e su quello verticale.


Le sfumature di rosso rimandano ai fili del tempio, ai colori del tabernacolo dell’arca, alla tenda. Cito per tutti l’Esodo: “Farai poi il tabernacolo di dieci teli di lino fino ritorto, di filo color violaceo, porporino e scarlatto” (Es 26,1). Violaceo, porporino e scarlatto: ecco le tre sfumature, mentre il blu compare più avanti: “Fai una tenda di filo azzurro, porpora e scarlatto e lino finemente ritorto, con cherubini lavorati da un abile artigiano” (Es 36,37).


In ebraico uomo, rosso, sangue, si fanno eco l’un l’atro: “Adàm, adòm, dàm”.

«Adamo» è dunque il «rossastro», il «sanguigno», il vivente che precipita nella morte l’Umanità mangiando del frutto. Cristo è il frutto che con il suo sangue restituisce l’umanità alla vita eterna. Lui è il “vero rosso” che lava nel suo sangue i nostri peccati e da scarlatti diveniamo bianchi come neve (Is 1,18).


Se il rosso rinvia alla carne, al sangue, al vino, il blu allude alla divinità. Singolare è la sua collocazione sulla Grande Croce: si tratta di un blu oltremare, sfumatura che è spesso associata alla veste della Madonna.


In Numeri leggiamo che, come segno distintivo, i figli d’Israele portavano un cordone azzurro all'angolo di ogni nappa delle loro vesti: “Questa nappa vi ornerà la veste, e quando la guarderete, vi ricorderete di tutti i comandamenti del Signore per metterli in pratica” (Nm 15,38).


Il blu è il segno di appartenenza all’ordine del cielo, è la presenza di Dio nella storia di Maria, è l’aspirazione dell’uomo che aderisce al disegno di Dio. Gesù appartiene al popolo e il popolo appartiene a Dio.

Significativo è che il blu non segnala la testa, la parte divina, rivolta al cielo, ma le membra, mani e piedi, ovvero la sua umanità.



Il vuoto


Ed ecco la parte davvero più emozionante.


Il vuoto. All’incrocio dei bracci, ai piedi della croce, guardando da sotto all’insù, nel nostro perspicere cristiano, ne capiamo il perché. Quando in iconografia c’è un “vuoto”, c’è sempre un “pieno”. Cristo nella sua kénosis, si svuota, si spoglia. Cristo, fatto carne, versa il suo sangue per noi e fa sì che noi diventiamo uno con Lui. Se mettiamo il nostro volto sul suo, se indossiamo la sua veste, obbediamo all’imperativo di San Paolo: “rivestitevi di Cristo” Rom 13,14).


L’opera è un inno che ci incita a rivestirci della croce, intessuta, attraverso il fiat di Maria, nella carne e nel sangue, per ri-crearci a nuova vita.

Torna alla mente Isaia: “Lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo

potere nelle sue mani” (Is 22,21). Il suo vuoto attende il nostro pieno: “vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26).

Se per bocca di Ezechiele il Signore dice “porrò il mio spirito dentro di voi” (Ez 36,27), l’artista fa il contrario, mette noi “dentro di Lui”. Parafrasando Luca 9,23: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, indossi la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Ed eccone l’eco in Col 1,24: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.”


Nomen-homen: fra le fila dell’opera di fra’ Fila, noi non abbracciamo la croce, siamo abbracciati da lei. Il Crocefisso ci abbraccia per rivestirci di lui. Nella prospettiva delle cose ultime, la tenda dell’eskaton si apre e “siamo rivestiti di potenza dall'alto” (Lc 24,49).


E dalle lacrime passiamo alla gioia:

“Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre.” (Bar 5,1). A Barùc fa eco Paolo “noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste” (2Cor 5,2).


Ed ecco la nuova veste dell’uomo nuovo, la porta per il Cielo.


Nel legno è il telaio,

Nell’ombra, il Padre tessitore

Nel blu, la Madre tessitrice

Nel filo, Colui che è tessuto


Nella comunione con il corpo e il sangue di Cristo risorto pregustiamo la Patria celeste.


Ce lo dice Gesù del Vangelo di Giovanni: “se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di

Dio” (Gv 3,3).


E la Grande Croce continua a commuovere: muovendoci dentro di lei, cambiamo dentro di noi.




Barbara Aniello

Docente Incaricato Associato


Pontificia Università Gregoriana

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